L’Iseo Campense del rione Pigna

Alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.), il suo impero venne diviso tra i generali che lo avevano accompagnato; il macedone Tolomeo ottenne l’Egitto (la dinastia tolemaica governò l’Egitto per quasi tre secoli, dal 323 al 30 a.C.). Poiché nel mondo antico la religione era alla base di tutto, Tolomeo creò un nuovo culto, che doveva (nelle intenzioni di Tolomeo) accomunare Greci ed Egiziani. Fu così che nacquero Iside e Serapide. Iside, celebrata nell’Iseo, era una divinità benefattrice, salvifica e consolatrice, creata abbinando alcuni aspetti dell’antica Iside egizia (sorella/moglie di Osiride) con le caratteristiche della dea greca Demetra e della dea asiatica Cibele (la Magna Mater). Serapide, celebrato nel Serapeo, aveva alcuni elementi del dio egizio Osiri/Api, abbinati ad elementi di Zeus, Dioniso e Ade. I culti di Iside e Serapide si diffusero rapidamente nei centri più importanti del Mediterraneo, tra cui Alessandria, Atene e Delo. Fu grazie agli scambi commerciali tra l’isola di Delo e il porto di Pozzuoli che il culto di Iside giunse in Italia. Nel 105 a.C. fu costruito a Pozzuoli un tempio dedicato a Iside, Serapide, Arpocrate e Anubi. All’inizio del I secolo a.C. venne costruito l’Iseo di Pompei. A Roma, il culto di Iside fu probabilmente introdotto all’epoca di Silla (I secolo a.C.); tuttavia, a metà del I secolo a.C. il culto della dea venne bandito perché ritenuto una minaccia alla pace sociale. Dopo la morte di Cesare (†44 a.C.), il culto isiaco venne rivalutato, tanto che i triumviri (Antonio, Ottaviano e Lepido) autorizzarono la costruzione nel Campo Marzio di un santuario dedicato a Iside: è la nascita dell’Iseo Campense. In questo post vedremo dove sono andate a finire alcune delle opere d’arte provenienti dall’Iseo Campense.

Ricostruzione dell’Iseo Campense. Il santuario venne costruito nel 43 a.C., durante il triumvirato di Antonio, Ottaviano e Lepido. All’epoca di Tiberio (14-37 d.C.), il santuario fu distrutto e le statue gettate nel Tevere. Successivamente, durante il regno di Caligola (37-41 d.C.), fu ricostruito. Nell’80 d.C., il santuario venne distrutto da un incendio (insieme a gran parte del Campo Marzio). Ricostruito dall’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), l’Iseo rimase in piedi fino al IV secolo d.C., quando fu nuovamente distrutto da un incendio. L’ipotesi ricostruttiva dell’Iseo Campense si basa su alcuni scavi e su alcuni frammenti marmorei della Forma Urbis severiana (inizio III secolo d.C.), l’enorme pianta marmorea di Roma affissa nel Foro della Pace. L’Iseo Campense lo dobbiamo immaginare come un’area circoscritta alle cui estremità Nord-Sud erano collocati i templi di Iside e Serapide. Nella parte meridionale del santuario (più o meno l’area della chiesa di S. Stefano del Cacco) c’era il Serapeo, cioè lo spazio sacro dedicato a Serapide. Di fronte al Serapeo c’era un corridoio di passaggio, attraversato il quale si entrava in un Cortile porticato rettangolare, dove l’imperatore Domiziano aveva fatto collocare un obelisco (quadrato bianco) e una fontana (cerchio nero). L’obelisco si trova oggi in piazza Navona, mentre la fontana potrebbe essere quella di cui faceva parte la gigantesca Pigna di bronzo oggi esposta nel Nicchione dei Musei Vaticani. A nord del Cortile rettangolare iniziava un lungo corridoio (dromos), che terminava di fronte al tempio di Iside. Tutta l’area occupata dall’Iseo Campense la dobbiamo immaginare decorata fontane, statue di animali e piccoli obelischi (foto Google Earth).
Piazza della Rotonda. L’obelisco collocato sulla fontana è antichissimo, infatti fu realizzato all’epoca del faraone Ramesse II (1279-1213 a.C.). Giunse a Roma da Eliopoli (probabilmente) dopo il terribile incendio dell’80 d.C., a causa del quale il santuario di Iside era stato distrutto. Nel Trecento, l’obelisco fu ritrovato, dissotterrato e di nuovo eretto, stavolta in piazza S. Macuto, di fronte alla chiesa. Nel Settecento, papa Clemente XI Albani (1700-1721) riutilizzò l’obelisco per decorare la fontana di piazza della Rotonda, disegnata alla fine del Cinquecento da Giacomo Della Porta. Per l’occasione, lo scalpellino carrarese Francesco Pincellotti realizzò lo scoglio su cui fu innalzato il piccolo obelisco, mentre i delfini da cui fuoriesce l’acqua (Vergine) furono scolpiti da Vincenzo Felici. I lavori si conclusero nel 1711 (foto Marco Gradozzi).
Via delle Terme di Diocleziano. Nel 1883, durante uno scavo condotto da Rodolfo Lanciani in via di S. Ignazio, venne ritrovato un piccolo obelisco realizzato all’epoca del faraone Ramesse II (1279-1213 a.C.). Anche questo, proveniente da Eliopoli come l’obelisco della fontana di piazza della Rotonda, (Santuario di Ra), giunse a Roma dopo l’incendio dell’80 d.C., per essere collocato nell’Iseo Campense. Il 26 gennaio 1887, oltre cinquecento soldati italiani morirono a Dogali, nel corso del conflitto per la conquista dell’Abissinia. Il 4 marzo 1887 il Consiglio Comunale propose di realizzare un monumento commemorativo utilizzando l’obelisco ritrovato in via di S. Ignazio. Il monumento, progettato dall’architetto Francesco Azzurri, fu inaugurato di fronte alla Stazione Termini il 5 giugno 1887 (il piazzale antistante la Stazione prese il nome dai cinquecento morti di Dogali). Nel 1924, forse per favorire la viabilità di fronte alla Stazione Termini, il monumento venne spostato nei giardini di via delle Terme di Diocleziano (foto Marco Gradozzi).
Musei Vaticani. Il celebre Cacco (macaco), proveniente dall’Iseo Campense, fu per secoli situato vicino alla chiesa di S. Stefano, che da lui prese il nome. In realtà, il cosiddetto Cacco è una statua di Thoth, dio della saggezza e della scrittura, spesso rappresentato sotto forma ibis oppure, come in questo caso, di babbuino. Nel Settecento, la scultura fu collocata nella collezione egizia dei Musei Capitolini. Nel 1838, insieme a gran parte della collezione, fu trasferita nei Musei Vaticani. La postura del dio/babbuino è sempre la stessa: seduto, con gli arti superiori poggiati sulle ginocchia di quelli posteriori (foto Marco Gradozzi).
Musei Vaticani. Fino alla fine del Cinquecento, una bella coppia di leoni in granito bigio scuro, provenienti dal vicino Iseo Campense, decorò lo spazio antistante il Pantheon. Erano stati realizzati in Egitto, durante il regno del faraone Nectanebo II (360-343 a.C.). Le due sculture giunsero a Roma in epoca imperiale, anche se non si conosce esattamente la data. Durante il pontificato di Leone X Medici (1513-1521), i due leoni in granito furono collocati su piedistalli ricavati da tronconi di colonne per impedire che l’immondizia del mercato del Pantheon li danneggiasse. Nel 1586, papa Sisto V (1585-1590) fece trasportare i due leoni in largo S. Bernardo, dove vennero utilizzati (insieme ad altri due leoni) per gettare acqua nella vasca centrale della Mostra dell’Acqua Felice. Nella prima metà dell’Ottocento, papa Gregorio XVI (1831-1846) fece sostituire i quattro leoni della Mostra dell’Acqua Felice con quattro leoni moderni provenienti dai giardini del Quirinale. I due antichi leoni di Nectanebo II furono perciò smontati dalla vasca centrale per essere trasportati nel nuovo Museo Gregoriano Egizio creato da Gregorio XVI (1839) (foto Marco Gradozzi).
Cordonata del Campidoglio. Lo scultore Flaminio Vacca vide i due leoni vicino la chiesa di S. Stefano del Cacco, prima che papa Pio IV (1560-1565) li facesse collocare all’inizio della Cordonata. Nel 1587, con l’arrivo dell’Acqua Felice sul Campidoglio, i due leoni furono trasformato in fontane. Il fascino esercitato da questo animale è antichissimo, infatti, troviamo spesso una coppia di leoni di fronte ai santuari egiziani. Il motivo è semplice: il leone aveva una funzione apotropaica, cioè allontanava gli spiriti maligni (foto Marco Gradozzi).
Piazza S. Marco. Nella seconda metà del Quattrocento, un grande busto femminile (II secolo d.C.), proveniente dall’Iseo Campense, fu collocato (insieme ad altre antichità) di fronte al nucleo originario di Palazzo Venezia. La statua fu soprannominata “Madama Lucrezia” in onore di Lucrezia d’Alagno (1430-1479), la favorita del re di Napoli Alfonso d’Aragona (1442-1458). La donna era amica del cardinale Pietro Barbo (futuro Paolo II), che sicuramente frequentò dopo la morte di Alfonso d’Aragona; forse questa amicizia fu all’origine di qualche malignità, perciò la statua prese il nome della donna. Successivamente, il cardinale Lorenzo Cybo de Mari, titolare della basilica di S. Marco nel periodo 1491-1503, fece spostare la scultura vicino all’ingresso della basilica di S. Marco. Nella prima metà del Cinquecento, l’erudito Ulisse Aldrovandi scriveva: «Dinanzi alla porta della chiesa di S. Marco si vede, sopra una base moderna, posta una gran statua di donna; che pare un Colosso» (foto Marco Gradozzi).
Via di S. Stefano del Cacco. Il piede marmoreo posto all’angolo del cantonale proviene da via del Piè di Marmo, alla quale diede il nome. Nel 1878, per questioni di viabilità, il colossale piede venne spostato nella tranquilla via di S. Stefano del Cacco. Anche questa scultura faceva parte dell’Iseo Campense (foto Marco Gradozzi).
Musei Vaticani. Secondo alcuni studiosi, la gigantesca pigna di bronzo (I secolo d.C.) decorava una fontana dell’Iseo Campense. La pigna era un simbolo di resurrezione e fertilità collegata al culto di Iside, Dioniso e Cibele. Fu forse nell’VIII secolo, che la Pigna giunse in Vaticano, collocata nel quadriportico antistante la vecchia basilica di S. Pietro. All’inizio del Seicento, al termine della costruzione della nuova basilica, la Pigna venne spostata sul Belvedere vaticano. Il capitello (III secolo d.C.) proviene dalle Terme neroniane/alessandrine (l’area a Nord del Pantheon) (foto Marco Gradozzi).
Via della Gatta. L’animale, collocato in un’epoca imprecisata sul prospetto di Palazzo Gottifredi-Grazioli, dovrebbe provenire dall’Iseo Campense. Una delle più importanti divinità egizie, Bastet, era spesso rappresentata come un gatto; a lei erano associati l’amore, la bellezza e la musica (foto Marco Gradozzi).
Piazza Navona. L’obelisco in granito rosa innalzato sulla fontana dei Quattro Fiumi di piazza Navona fu creato in Egitto, anche se si ignora il luogo esatto di provenienza. Il monumento fu portato a Roma durante il regno dell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), che lo collocò all’interno del restaurato santuario di Iside e Serapide situato nel Campo Marzio. All’inizio del IV secolo, l’imperatore Massenzio fece trasportare il monumento nella sua villa situata al terzo miglio della via Appia Antica, collocandolo sulla spina del Circo (tuttora esistente). Nel 1651, l’obelisco fu collocato sopra la fontana dei Quattro Fiumi, progettata dal Bernini in piazza Navona per papa Innocenzo X Pamphilj (1644-1655) (foto Marco Gradozzi).