Come abbiamo visto in più occasioni, all’interno delle Mura Aureliane, la città contemporanea si sovrappone a quella antica. Perché tanta differenza (anche dieci metri) tra il livello dell’antica Roma e quello attuale? Le cause sono molteplici. Tale sovrapposizione può essere stata causata dall’implosione di un edificio antico, oppure dal suo interramento volontario (Domus Aurea e Esquilino). A tal proposito, l’archeologo Rodolfo Lanciani, sulla base di una sua personale esperienza di scavo, stabilì che un edificio antico alto dieci metri, rovinando su sé stesso, aveva prodotto una quantità di detriti alta 185 centimetri. Lo stesso Lanciani calcolò che un ambiente all’aperto lasciato senza manutenzione (lui portava come esempio il pavimento del Foro di Traiano), dopo un anno sarebbe stato coperto da due centimetri e mezzo di materiali, cioè due metri e mezzo in un secolo. Tra i tanti luoghi “sommersi” di Roma che abitualmente “calpestiamo” c’è il Teatro di Pompeo. A metà del I secolo a.C., Cneo Pompeo (106-48 a.C.) era l’uomo forte della politica romana. Fu in quegli anni (55 a.C.), che venne inaugurato nel Campo Marzio un grande teatro da lui fatto costruire. L’area, ancora riconoscibile dalla foto satellitare, è delimitata da Campo de Fiori, corso Vittorio Emanuele II, largo Argentina e via dei Giubbonari. La legge romana vietava la costruzione di teatri in muratura, perciò Pompeo aggirò l’ostacolo facendo costruire un tempio dedicato a Venere Vincitrice sulla sommità della càvea, i cui sedili costituivano allo stesso tempo la scalinata d’accesso. Il teatro (diametro 150 metri) poteva ospitare quasi diciottomila persone. Il portico situato dietro la Scena, compreso nell’area delimitata da via dei Chiavari e largo Argentina, aveva una dimensione gigantesca: 180 x 135 metri. Nel lato corto del portico opposto alla scena si apriva un’esedra rettangolare dove a volte si riuniva il Senato; qui venne ucciso Giulio Cesare nel 44 a.C. La ricostruzione della pianta del Teatro di Pompeo fu possibile grazie al ritrovamento di alcune lastre della celebre Forma Urbis, la pianta marmorea della città realizzata all’epoca degli imperatori Settimio Severo e Caracalla (inizio III secolo d.C.). La Forma Urbis, composta da 150 lastre (misurava 18 x 13 metri; scala 1:240), era collocata sulla parete di una biblioteca del Foro della Pace. La parete, ancora visibile in via dei Fori Imperiali, fa parte oggi della chiesa dedicata ai SS. Cosma e Damiano, una delle più antiche di Roma, costruita durante il pontificato di Felice IV (526-530) grazie alla donazione delle strutture da parte di Teodorico, re degli Ostrogoti.