Nel 1806, l’erudito romano Francesco Cancellieri pubblicò un libro davvero particolare: “Dissertazioni epistolari di G.B. Visconti e Filippo Waquier de la Barthe sopra la statua del discobolo scoperta nella Villa Palombara… arricchite con note e con le bizzarre iscrizioni della Villa Palombara”. Del Discobolo parleremo in un’altra occasione perché l’argomento di oggi è l’Alchimia. Nel Cinquecento, i Savelli (signori di Palombara) acquistarono alcuni terreni sul colle Esquilino. In seguito, la proprietà venne ceduta al duca Alessandro Sforza, che nel 1620 la rivendette di nuovo ai Savelli di Palombara, che appartenevano a uno dei rami cadetti dell’antichissima e nobile famiglia Savelli (Rignano, Ariccia, Albano e Palombara). La villa faceva parte di quella gigantesca “fascia verde urbana” che dalle Mura Aureliane (271 d.C.) raggiungeva il limite dell’abitato (la pianura del Campo Marzio). L’ingresso di Villa Palombara era lungo la “Strada Felice”, il lunghissimo tracciato rettilineo realizzato all’epoca di Sisto V (Felice Peretti, 1585-1590) che collegava la chiesa di S. Croce in Gerusalemme con la chiesa della SS. Trinità (dei Monti). Il percorso esiste ancora ma è stato suddiviso in varie strade: via di S. Croce in Gerusalemme-via Conte Verde-piazza Vittorio Emanuele II-via Carlo Alberto-via e piazza dell’Esquilino-via Agostino Depretis-via delle Quattro Fontane-via Sistina-piazza della Trinità dei Monti. Nel Seicento, il marchese Massimiliano Savelli Palombara (1614-1685), appassionato di alchimia, fece costruire nella villa un laboratorio, divenuto famoso per una vicenda di cui parleremo tra poco. Alla fine dell’Ottocento, i terreni della “fascia verde” all’interno delle Mura Aureliane furono venduti e lottizzati, provocando la scomparsa di tutte le ville patrizie. La stessa sorte toccò a Villa Palombara, inghiottita dalle abitazioni del nuovo Rione Esquilino (il XV).
Nella pubblicazione di Cancellieri vengono riportati alcuni aneddoti relativi a Villa Palombara, alla sua Porta Magica (all’epoca ancora in situ) e ai protagonisti di una storia incredibile: la regina Cristina di Svezia (1626-1689) e il marchese Massimiliano Savelli Palombara (1614-1685). Così inizia il Cancellieri: «La celebre Cristina Alessandra, regina di Svezia, dopo di aver rinunciato al Regno, ed abbracciata la Religione Cattolica Romana, nel 1655 scelse per suo soggiorno questa Città, ove si applicò interamente a proteggere le Scienze, le Lettere e le Belle Arti, fino al 1689, in cui terminò di vivere. Fra le sue occupazioni volle ancora tentare di rinvenire l’Arte cotanto decantata, e non mai trovata, di far l’Oro». Seguendo la passione per l’alchimia, la regina fece costruire alcuni laboratori nella sua abitazione (Palazzo Riario, oggi Palazzo Corsini, in via della Lungara), dove invitava dei “dilettanti” (coloro che si dilettavano) a fare esperimenti, fornendo lei i materiali necessari. Un giorno, si presentò a palazzo un “Giovane Oltremontano”, chiedendo alla regina di poter utilizzare uno dei laboratori. Cristina accettò. Dopo qualche mese, il giovane disse alla regina che doveva partire per andare a cercare una particolare Erba (non quella che pensate voi, birbanti), perciò aveva bisogno di un ripostiglio dove custodire “due Vasi di Liquore”. Anche in questo caso la regina lo accontentò. Trascorso molto tempo, poiché il giovane non tornava, Cristina fece aprire il ripostiglio, e con grande sorpresa scoprì che il liquore all’interno dei due Vasi era diventato solido, trasformandosi in oro e in argento.
A questo punto della storia Cancellieri fa entrare in scena il marchese Massimiliano Palombara, che prese in giro la regina per essersi lasciata sfuggire un’occasione unica. Un giorno, si presentò al portone di Villa Palombara un Pellegrino; la servitù avvisò subito il marchese, che in quel momento si trovava nel laboratorio di Alchimia, situato sul retro del Casino, al pianterreno (probabilmente di fronte al giardino segreto). Giunto di fronte al marchese, il Pellegrino, che aveva ╗tra le mani un mazzetto d’Erba, disse di conoscere la passione del Palombara per “l’Arte di far l’Oro” e che perciò voleva aiutarlo, sapendo che “l’opera era difficile ma non impossibile ad eseguirsi”. Dopo aver esaminato il laboratorio del marchese, il Pellegrino gettò il suo mazzetto d’Erba in un crogiuolo pieno di Liquore, chiedendo di non alimentare più il fuoco sotto di esso. Poco dopo, il Pellegrino chiese al marchese di poter trascorrere la notte del laboratorio per sorvegliare da vicino l’esperimento. Il giorno successivo, il marchese, impaziente, si recò nel laboratorio, ma lo trovò chiuso, perciò fece sfondare la porta: il Pellegrino era scomparso, mentre il crogiuolo era rovesciato a terra, vicino a una piccola striscia di color Oro. Il marchese «la raccolse, e la sentì pesante, e fattane poscia esperimento, trovò esser Oro perfettissimo». Nonostante la fuga, il Pellegrino mantenne la sua promessa perché sul tavolo del laboratorio «lasciò una Carta, in cui erano delineati e scritti vari Enigmi». Per ricordare l’incredibile incontro, nel 1680, il marchese fece collocare varie iscrizioni sulle pareti del laboratorio e sul muro esterno del Casino. Alcuni degli “Enigmi” menzionati dal Cancellieri furono affissi sul Portone della Villa e su una piccola porta situata di fronte alla chiesa di S. Eusebio (piazza Vittorio). Tutti e due gli ingressi affacciavano sulla Strada Felice. Ecco il testo dell’iscrizione sul Portone: VILLAE IANUAM / TRANANDO / RECLUDENS IASON / OBTINET LOCUPLES / VELLUS MEDEAE / 1680 (Oltrepassando la porta della Villa, Giasone scopre e ottiene il ricco vello di Medea, 1680). Secondo lo studioso Gabriele Mino, l’iscrizione che il marchese dettò e fece collocare sul Portone di Villa Palombara prendeva spunto da un racconto bizantino del X secolo, in cui il celebre Vello d’Oro era in realtà una pergamena su cui era scritta la formula per fabbricare l’oro. Ovviamente, il Giasone dell’iscrizione è il marchese Palombara.